100 giorni alla maturità. Le paure e le preoccupazioni del maturando
A ormai cento giorni dalla maturità 2015, si tirano le somme e ci si comincia a preparare: la cena dei cento giorni che non mette d’accordo mai nessuno (Festino a casa dell’amico ricco sfondato? Classica cena con pizza e birra? Con o senza quegli odiosi professori?), la destinazione della gita scolastica che nove volte su dieci delude tutti perché, andiamo, non è mai abbastanza per il viaggio dell’ultimo anno, la prima simulazione della terza prova che incombe su di noi come una spada di Damocle, la tesina da preparare… e poi i problemi di tutti i giorni: fidanzati e fidanzate stressanti o perennemente depressi, amici fuori come lampioni, genitori soffocanti.
E in tutto questo, inoltre, come se non bastasse questo marasma di responsabilità e tensioni, c’è anche la scelta universitaria, croce e delizia di tutti gli studenti italiani che si avvicinano alla fine del loro percorso nelle superiori. Ci sono i più ambiziosi che puntano, che so, magari a corsi d’elite, che scommetteranno tutto su una manciata di crocette e sul totale che conquisteranno; ci sono poi quelli che sono bravi in tutto, dalla letteratura alla matematica, e che proprio non sanno decidersi tra, che so, Psicologia e Chimica (giuro, ho un’amica che sta scegliendo fra queste cose! ndA); ci sono, infine, gli idealisti, quelli che, accidenti, se devo passare almeno altri cinque anni della mia vita col naso fra i libri allora studierò quello che mi pare e che il resto del mondo sparisca.
Però… però facciamo un passo indietro.
Innanzitutto, iscriversi oppure no? Ogni anno gli iscritti alle università italiane diminuiscono, un po’ per i costi scandalosamente proibitivi e un po’ perché ci si chiede se ne vale la pena, di faticare così tanto per conquistare poi assolutamente niente. Fra l’altro, sapete come si dice, un popolo ignorante è più facile da governare.
In una società come la nostra, poi, dove uno su mille ce la fa (ciao, Gianni!), una scelta del genere è ciò che ci condizionerà per sempre. Aziende e scuole di tutti i tipi affermano costantemente, come un disco incantato, di assumere solo “i migliori”; ripetono senza sosta che nonostante i tempi siano quelli che sono, nonostante la crisi e le difficoltà, chi è bravo e preparato, chi ha faticato, qualcosa alla fine la trova.
Queste “illuminanti” parole ci vengono ripetute costantemente: a scuola fra quei banchi così stretti; a casa, durante la cena, con i tuoi genitori stanchi per una lunga giornata di lavoro, ma mai abbastanza per non preoccuparsi per te; e anche in bagno, davanti allo specchio, mentre ci fissiamo e ci chiediamo non solo se saremo veramente in grado di diventare qualcuno, ma anche se saremo fra i famosi “migliori”.
Perché ok, uno su mille ce la fa. Ma gli altri novecentonovantanove che fine fanno? Gli altri novecentonovantanove che hanno scommesso su altro, che si sono impegnati allo stesso modo, magari con la stessa gioia, non hanno conquistato in egual maniera il loro posto nell’olimpo dei “migliori”?
E certo, tuttavia, questo non avrebbe senso: non tutti possono essere migliori, no? Altrimenti che razza di migliori sarebbero? Perché ci siano dei migliori ci devono essere dei peggiori, è una questione di rapporti, di logica. Non tutti possono essere medici, filosofi, ingegneri, avvocati o astronauti… o perlomeno non tutti possono essere il top in queste categorie. E se non puoi essere qualcosa di così eclatante, alla fine, è un po’ colpa tua, mica della società che sceglie quell’uno su mille con così tanti criteri variabili che… beh, non importa quanto tu abbia studiato o faticato o sognato… a volte è tutta questione di fortuna.
Che poi, nella maggior parte dei casi e in realtà, non essere i migliori e limitarsi a essere “normali”, non è una cosa negativa, anche se vogliono farcelo credere.
Perciò il punto di tutto questo qual è?
Fate l’università?
Non fatela?
Mah, vi dirò, una soluzione non c’è. Perché qualsiasi cosa scegliate di fare, le probabilità sono contro di voi e io potrei scrivere un sacco di frasi incoraggianti, ma la realtà dei fatti è che l’importante è che compiate una scelta, una che vi faccia felici e che se anche un giorno vi porterà a essere tra i novecentonovantanove, almeno, beh, sarete i migliori per voi stessi.
Scritto da Elisabetta Gatti
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